STUPEFACENTI: GIUDICATO E POTERI DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE

Il giudicato penale, ossia il caso in cui una sentenza (di proscioglimento o di condanna) diviene irrevocabile in quanto non più sottoponibile ad una impugnazione ordinaria, comporta che l’accertamento sulla responsabilità penale sia tendenzialmente definitivo (rimanendo ferme le ipotesi di revisione), consentendo di qualificare come intangibili le statuizioni degli organi giurisdizionali.

Tale principio, che sicuramente è volto a tutelare la certezza del diritto e la stabilità dell’assetto dei rapporti giuridici, è stato di recente messo in crisi dai più autorevoli organi giurisdizionali del nostro ordinamento nei casi in cui venga dichiarata incostituzionale  una norma penale diversa da quella incriminatrice, che comunque è idonea a incidere favorevolmente sul trattamento sanzionatorio già inflitto al condannato, anche qualora si tratti di una sentenza ormai irrevocabile.

Sarebbe infatti estremamente ingiusto eseguire una sanzione penale che poi si rivela illegittima, perché contraria alla Costituzione o alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In questi casi, infatti, insegna la giurisprudenza che «s’impone un bilanciamento tra il valore costituzionale della intangibilità del giudicato e altri valori, pure costituzionalmente presidiati, quale il diritto fondamentale e inviolabile alla libertà personale, la cui tutela deve ragionevolmente prevalere sul primo».

Si impone quindi la necessità di una rideterminazione in melius della pena irrogata, anche se nel frattempo è intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna, salvo il caso in cui la pena sia stata interamente eseguita.

Le ipotesi di condanna definitiva suscettibili di una tale operazione, da valutarsi comunque caso per caso in ragione della complessità e della tecnicità del problema, riguardano per lo più la materia degli stupefacenti, ove sono intervenute di recente due pronunce di incostituzionalità.

La prima  riguardante il divieto di considerare prevalente la speciale attenuante del fatto di lieve entità prevista dall’art. 73 del TU sugli stupefacenti ai soggetti recidivi reiterati (Corte Cost. 251/2012) e la seconda (Corte Cost. n.32/2014), che ha dichiarato incostituzionale la disciplina sanzionatoria prevista dal D.L. 272/05 (cd. Fini – Giovanardi), ponendosi così il problema della sorte delle sentenze definitive pronunciate sulla base di tale normativa. La disciplina previgente, infatti, (legge cd. Iervolino – Vassalli), qualora risultasse in concreto applicabile, dovrebbe determinare un trattamento sanzionatorio più favorevole per le fattispecie aventi ad oggetto le cd. droghe leggere.

Peraltro, oltre alla materia degli stupefacenti, la tematica della rideterminazione della pena a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di una norma penale diversa da quella incriminatrice, che comunque è idonea a incidere favorevolmente sul trattamento sanzionatorio inflitto al condannato, potrebbe essere suscettibile di trovare applicazione anche in diversi ambiti, ad esempio con riguardo alla pena accessoria della perdita della potestà genitoriale per i delitti di alterazione e soppressione di stato inflitta con sentenze divenute definitive prima delle pronunce della Corte Costituzionale (n. 31 del 2012 e n. 7 del 2013), che hanno dichiarato l’illegittimità dell’automatismo di tale pena accessoria in caso di condanna per tali reati.

Ed ancora si possono ricordare le recenti pronunce (nn. 105 e 106 del 2014) che hanno dichiarato l’illegittimità della norma che vietava al giudice di considerare prevalenti l’attenuante speciale nelle ipotesi di fatti di lieve entità, alle persone recidive reiterate condannate per i delitti di ricettazione o di violenza sessuale.

Su questa complessa tematica, di recente, con la pronuncia n. 42858 del 2014, depositata lo scorso 14 ottobre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno compiuto delle importanti precisazioni in merito alle modalità con cui è possibile richiedere, qualora ne ricorrano i presupposti, una rideterminazione in senso favorevole della propria condanna, anche se divenuta definitiva.

E’ compito del giudice dell’esecuzione la rideterminazione della pena da eseguire, il quale potrà anche svolgere autonome attività di accertamento, purché non si spinga a compiere delle valutazioni che siano già state escluse espressamente in sede di cognizione per ragioni di merito.

La richiesta di rideterminazione della pena inflitta e divenuta in parte illegittima a seguito di una pronuncia di incostituzionalità, precisano le Sezioni Unite, dovrebbe spettare anche al Pubblico Ministero, in ragione delle sue funzioni istituzionali, pur se il trattamento sanzionatorio sia già in corso di attuazione. Tuttavia, anche in considerazione del carico di lavoro della magistratura italiana, sembra difficile pensare che tali istanze, pure in ragione della complessità che possono presentare in ogni singolo caso concreto, siano proposte autonomamente dagli Uffici della Procura, in assenza di una apposita istanza in tal senso.

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