stalking e facebook

Il reato di stalking, rubricato dal codice penale come “atti persecutori” all’art. 612 bis, è sempre più protagonista dell’attenzione degli ermellini della Corte di Cassazione, di pari passo con la crescente risonanza acquisita sui media.
Si arricchisce pertanto la casistica dei comportamenti molesti e minacciosi perpetrati dai cosiddetti stalker, tra cui assume sempre più rilevanza lo stalking per mezzo di internet e social network, particolarmente insidioso da contrastare.


Spesso, in passato, si è teso a sottovalutare il problema e ad inquadrarlo nell’ambito della difesa della privacy senza riconoscerne gli effetti ben più nefasti sullo stile di vita e sulla psiche della persona offesa.
Tale lacuna è stata poi progressivamente colmata dall’intervento del Legislatore e della Suprema Corte che, con la recente sentenza n. 12203 del 23 marzo 2015, ha confermato l’orientamento giurisprudenziale prevalente in materia.
In primo luogo il delitto di cui all’art. 612 bis c.p., dopo la sua introduzione nel 2009, è stato oggetto della riforma operata con il Decreto legge n. 93 del 14 agosto 2013, poi convertito con la Legge 15 ottobre 2013 n. 119, avente ad oggetto un pacchetto di misure volte al contrasto delle violenze di genere ed i casi di c.d. “femminicidio”.
A tale riguardo si registra, tra le altre riforme, l’introduzione di una apposita circostanza aggravante a carico di chi commette il reato di stalking facendo utilizzo delle risorse del web.
La nuova formulazione dell’art. 612 bis c.p., secondo comma, prevede infatti che “la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”, riconoscendo anche a livello codicistico la potente insidiosità delle condotte persecutorie realizzate con mezzi di ampia diffusione dei dati personali.
Anche la Corte di Cassazione ha da tempo dimostrato particolare attenzione in merito, tracciando un’elaborazione giurisprudenziale che, come anticipato, è stata recentemente rafforzata.
Difatti, già con la sentenza n. 32404 del 16 luglio 2010, il Giudice di Legittimità ha preso in esame un caso di molestie assillanti “concretatisi in telefonate , invii di sms e di messaggi di posta elettronica, nonché di messaggi tramite internet (facebook)” nonché “anche caratterizzata dall’avere trasmesso …tramite facebook, un filmato che ritraeva un rapporto sessuale” tra le parti in causa, ritenendolo un contegno tale non solo da integrare una tipica fattispecie di stalking e non di semplice diffamazione o lesione della privacy, ma soprattutto sufficiente per giustificare le sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari per disporre l’applicazione di una misura cautelare.
Detta interpretazione è stata ribadita con la citata sentenza n. 12203/2015, con cui la Corte ha sancito la penale rilevanza del contegno di uno stalker che ha tessuto la propria rete di minacce e molestie unicamente sul piano virtuale, creando dei falsi profili facebook su cui pubblicare e diffondere diverse foto intime ritraenti la vittima.
Anche in questo caso, la Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso presentato avverso un’ordinanza del Tribunale del Riesame avente ad oggetto una misura cautelare, stabilendo che data la minacciosità di tale condotta, capace di determinare gli eventi tipici della fattispecie quali un’apprezzabile sofferenza psichica, timore per la propria ed altrui incolumità nonché il mutamento delle abitudini di vita, è pienamente sufficiente a giustificare un tale provvedimento.
Con particolare riferimento alle misure cautelari, difatti, il legislatore ha corredato la normativa in materia di stalking con una serie di tutele specifiche in grado di contrastarne le forme più caratterizzanti, novellando l’art 282 bis c.p.p. mediante l’introduzione, a tutela dell’incolumità della vittima, del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla medesima, nei limiti delle prescrizioni modulate dal giudice sulle esigenze del caso concreto.
La molteplicità delle forme con cui uno stalker può esercitare il proprio controllo sulla persona offesa ha infatti determinato la necessità di affidare al giudizio del giudice procedente il compito di individuare le prescrizioni ritenute di volta in volta le più adeguate, scelta rispecchiata da un quadro normativo volto ad assicurargli la più ampia discrezionalità.
Tale principio è stato valorizzato da un’ulteriore recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 5664 del 6 febbraio 2015, con cui ha respinto diverse critiche circa l’eccessiva indeterminatezza della disposizione in oggetto.
Più precisamente, il Giudice di Legittimità ha ritenuto che “una interpretazione letterale della norma consenta di superare le difficoltà applicative create da una misura che, nello spirito della legge, deve essere “calibrata” sulla situazione di fatto che si vuole tutelare in via cautelare” e, tornando alla applicabilità di una misura cautelare in grado di inibire anche la condotta via web, ha precisato l’ampiezza del significato del “divieto di comunicazione” inteso quale “comportamento specifico, chiaramente individuabile: quello di non ricercare contatti, di qualsiasi natura, con la persona offesa; e quindi di non avvicinarsi fisicamente alla suddetta, di non rivolgersi a lei con la parola o con lo scritto, di non telefonarle, di non inviarle sms, di non guardarla (quando lo sguardo assume la funzione di esprimere sentimenti e stati d’animo): insomma, di non fare tutto ciò che uno “stalker” è solito fare e che i soggetti appartenenti a detta categoria comprendono benissimo”.
Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale fin qui illustrato, si può certamente affermare che la crescente domanda di tutela dalle intrusioni, minacce e molestie realizzate tramite facebook o semplicemente via internet può essere confortata dalla possibilità di ricorrere alla tutela penale sia nel merito che sul piano cautelare, in quanto pieno esempio di una tipologie di stalking più infide e dagli esiti più imprevedibili.
Ciò posto, dal punto di vista più concreto, nel momento in cui si ritiene di essere divenuti bersaglio di tali sgradevoli attenzioni, occorre in primo luogo curarsi di raccogliere minuziosamente tutte le pubblicazioni, foto e messaggi ricevuti, prendendo nota di ogni turbamento o mutamento delle abitudini quotidiane riscontrati quali dirette conseguenze, in modo da poter adire l’autorità competente al fine di veder riconosciuta la penale responsabilità dell’autore nonché, laddove ne sussistano i presupposti, l’applicazione della misura cautelare più efficace.

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